Archivio per gioia

Natale! (vers. 2012)

Posted in Musica, Pubblica utilità with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 26 dicembre 2012 by patatromb

E anche per quest’anno, buon Natale a tutti, evviva evviva!!

(fingendo che qua non sia già il 26 dicembre)

 

Interventi su Dubai

Posted in Gite, Pubblica utilità, Wisdom with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 27 agosto 2012 by patatromb

In realtà questo scritto doveva intitolarsi “Interventi da Dubai” e avrei dovuto scriverlo mentre attendevo di imbarcarmi sul volo che mi avrebbe riportato in Corea dopo un mese di, mi dicono, vacanze nella ridente Gorizia; solo che in quel benedetto aeroporto, di cui peraltro andrò a scrivervi quest’oggi, la connessione internet funziona bene quanto l’economia mondiale e quindi eccomi a scrivere con diversi giorni di ritardo rispetto al previsto.

Che poi a dirla tutta il ritardo andrebbe quantificato in mesi, ‘ché è a gennaio del 2012 che il signor V. e la signorina M. sua fidanzatina mi chiedevano un’opinione sul celebre scalo arabo, e io in quell’occasione, anziché rispondergli, li rimandavo a leggere il mio blog “tanto lo aggiornerò prestissimo, solo per voi!”. Ma che saranno poi sette mesi! Pensate che tra un po’ è un  anno da che son tornato dal Giappone e ancora devo scrivere l’ultima parte del mio “diario di viaggio”.

E insomma, ecco qua, V. ed M.! Questo intervento lo dedico a voi!

 (. )( .)

Vado subito al punto così i pigri non devono stare a leggere tutta la pappardella inutile! Per riassumere all’osso la questione, l’aeroporto di Dubai è come i prodotti della Apple: fanno sinceramente schifo ma la gente a forza di sentirsi dire che sono fantastici li adora e dice “wow!”

  (. )( .)

E ora, via con la pappardella! In sostanza, l’aeroporto è un grosso budello diviso in tre corridoi, uno centrale bello grosso, luminoso e pieno zeppo di negozi dove i viaggiatori devono spendere i loro soldi, e due laterali, miseri e bigi, dove ci sono gli ingressi ai gate d’imbarco e quattro sedie messe in croce, perché lo scopo ultimo non è quello di offrire un servizio ai viaggiatori, ma costringerli incoraggiarli a fare shopping e ad acquistare i prodotti tipici della tradizione araba, tipo la cioccolata Lindt, le sigarette Marlboro o il whisky Chivas Regal.

L’ingresso del corridoio centrale

 

Vi facevo cenno all’inizio dell’intervento, ci ritorno: l’aeroporto dispone di una praticissima rete wireless gratuita a disposizione dei viaggiatori, utilissima per chi, come il sottoscritto, viaggia portando con sé laptop e/o smartphone: peccato che, naturalmente per purissimo caso, ci sia campo esclusivamente nel corridoio centrale, non fosse mai che uno, comodamente seduto nei corridoi laterali, volesse passare quelle tre o quattro ore prima dell’imbarco di fronte al suo computer senza consumare denaro nell’area shopping[1].

A parte che poi uno per poter trovare un posto a sedere nei due corridoi laterali deve avere una certa dose fortuna (inteso come “la caratteristica più tipica di Shakira”) visto che, a occhio, c’è una sedia ogni sessanta o settanta viaggiatori (però uno può sempre stravaccarsi sul pavimento, eh!).

Vivacità ed allegria nei corridoi laterali: alcuni viaggiatori soddisfatti comodamente seduti sul pavimento in attesa del loro volo!

 

Magari chi ha progettato l’aeroporto ha ritenuto inutile installare un congruo numero di posti a sedere, ma, buon dio!, era davvero necessario limitare anche il numero dei gabinetti? Già di loro sono sgradevoli, sia perché gli indiani che fanno le pulizie ti squadrano ogni volta che entri e ti mettono in soggezione, sia perché il livello dell’acqua nella tazza è molto alto e se devi pulirti il sedere dopo aver fatto la pupù rischi ogni volta di strisciare la mano nelle tue stesse deiezioni, sia perché la suddetta acqua è calda e quindi se ci impieghi più di cinque minuti per fare quello che devi fare gli effluvi ti impregnano il corpo e le vesti; ma doversi fare centinaia di metri per trovarne uno e scoprire, quando magari hai una certa urgenza, che la fila arriva fin fuori o che direttamente è chiuso per manutenzione le scatole, obiettivamente, le fa girare.

Per contratto, almeno due lavandini per ogni bagno non funzionano, e di solito ti accorgi che quello rotto è proprio il tuo quando ti sei già insaponato a dovere le mani.

Ci sarebbero anche delle docce e naturalmente sono sprovviste di qualsiasi cosa necessaria per renderle funzionali: asciugamani che magari potevano pure mettere a pagamento, armadietti dove chiudere i propri bagagli per non lasciarli incustoditi, appendini dove lasciare i propri vestiti mentre ci si lava e altre amenità simili.

Gabinetti a Dubai: il water e un misterioso bocchettone con cui i cinesi spesso si lavano i piedi (sul serio)

Gabinetti a Dubai: il water e il portarotolo, un oggetto dal design raffinato

 

Magari chi ha progettato l’aeroporto ha ritenuto inutile costruire dei servizi igienici decenti ma, buon dio!, era proprio necessario installare esclusivamente orologi a lancette che, quando non dormi da 24 ore, fai fatica a tenere gli occhi aperti, la tua mente è avvolta dalla nebbia del torpore e non capisci nemmeno bene in che fuso orario ti trovi, rendono pressoché impossibile discernere l’ora e, dunque, il tempo che ti rimane prima della partenza del tuo volo?

Uno dei corridoi esterni. Rolex, la prossima volta display elettronico, mi raccomando!

 

Ma parliamo dei gate d’imbarco! Innanzitutto, per accedervi devi sperare di sapere da quale partirà il tuo volo, e già questo non è sempre facile perché “onde migliorare il vostro ambiente aeroportuale” <sic> spesso passano ore prima che il numero del gate venga annunciato. Per esempio a luglio, all’andata, ho aspettato tre ore abbondanti prima di scoprire che mi trovavo esattamente dalla parte opposta rispetto a dove mi sarei dovuto imbarcare. Tenuto anche presente che nell’intera struttura ci sono solo quattro tabelloni per gli orari, due al centro del tubone e gli altri due alle sue estremità, e per controllarli devi ogni volta fare i chilometri mi chiedo in cosa, esattamente, consistano i concetti di “migliore” e di “comodo” così come li intendono i responsabili dell’aeroporto.

Ma ecco, finalmente sai che il tuo gate è il 202! Quando, un’ora e mezza prima della partenza (e tu hai aspettato quattro o cinque ore, perché le coincidenze sono il fiore all’occhiello della Emirates) finalmente apre vai lì, mostri al virile inserviente il passaporto e il biglietto, scendi per le scale mobili (i gate si trovano nel piano inferiore) e… e nulla, trovi una stanza grigiastra dove ci sono tantissime sedie, degli imperdibili quotidiani arabi gratuiti (curiosità: li stampano sulla stessa carta che da noi viene usata per i settimanali e pesano un quintale l’uno), un gabinetto per gli uomini, uno per le donne e uno per i disabili (talvolta possono essere rotti) e 3 (tre) prese della corrente così puoi fantasticare di ricaricare la batteria del cellulare che sta morendo (poi ti rendi conto di essere circondato da centinaia di coreani armati di smartphone e caricabatterie e realizzi la vacuità del tuo pur umile sogno). Se mentre sei lì ti vien sete o fame, ti arrangi, visto che non troverai nemmeno una macchinetta del caffè.

“We limit announcements to improve your airport environment”
“Thank you”

 

Ma insomma, alla fine di tutto si parte, e addio!, o arrivederci, Dubai! Ma se invece fossi appena arrivato? Il disorientamento! Qua mi vedo costretto a fare un paragone diretto con l’aeroporto di Incheon. Quando arrivo in Corea, quale che sia il punto dove il mio aereo è atterrato, so sempre come mi dovrò muovere una volta sceso: questo perché l’aeroporto è strutturato in maniera volutamente lineare e ripetitiva, con tutti i percorsi aereo-controllo documenti-reimbarco/raccolta bagagli identici fra di loro e nei quali, conseguentemente, è facile memorizzare il percorso da seguire ed è semplice orientarsi.

A Dubai no: se ad Incheon si passa dall’aereo all’edificio esclusivamente per mezzo di finger, a Dubai possono benissimo decidere di farti scendere dall’aereo anche nel bel mezzo del nulla, così ti godi il passaggio aria condizionata dell’aereo→ 35 gradi di notte all’esterno mentre scendi la scaletta→ aria condizionata dell’autobus→ 35 gradi di notte per entrare a piedi nell’aeroporto→ aria condizionata dell’aeroporto: un toccasana per la salute! Se hai la disgrazia di atterrare in queste condizioni, sappi che l’autobus, dotato peraltro di soli otto posti a sedere e con le finestre oscurate per impedire che si guardi all’esterno, può impiegarci anche 25 minuti per compiere il tragitto aereo-aeroporto.

È però una volta arrivati all’aeroporto che parte il disorientamento di cui sopra: perché a seconda di dove si venga fatti entrare nell’edificio, cambiano ogni volta modalità, orientamenti e direzioni dei controlli bagagli e documenti, con una struttura a tratti labirintica e imprevedibile voluta, immagino, “onde migliorare il vostro ambiente aeroportuale”.

Dubai International Airport: Think Different!


[1] Tra parentesi confesso che, in assenza di qualsivoglia tipo di istruzione, ci ho messo due anni per capire come connettersi: in sostanza, il metodo è quello di aprire il browser, andare su google e aspettare che carichi, in sua vece, la pagina ufficiale dell’aeroporto di Dubai.

I coreani e il matrimonio – Parte 2

Posted in Asia Orientale, corea, Pubblica utilità with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 14 aprile 2012 by patatromb

Dov’eravamo rimasti? Ah sì, tutti i preparativi per il matrimonio si sono conclusi e, finalmente, è arrivato il tanto atteso giorno della cerimonia di nozze!

Gli invitati accorrono a centinaia e, se non si sono smarriti avendo fallito di decifrare la mappetta stampata nell’invito e sono dunque riusciti ad arrivare con almeno una decina di minuti di anticipo, non possono esimersi dallo scattare le rituali foto con la sposa, che se ne sta esposta a mo’ di bomboniera in uno sbrilluccicoso camerino approntato per l’occasione. Se sei me, invece, arrivi in ritardo e ti risparmi la fatica.

Che si arrivi puntuali o in ritardo, non si può invece scappare a quello che è corrispettivo coreano della consegna del dono nuziale. Ma attenzione: niente liste di nozze in Corea! Accanto all’ingresso della sala dove avrà luogo la cerimonia si trovano due tavoli, uno per gli invitati dello sposo e uno per quelli della sposa e su di essi trovano posto un grosso quadernone, dove i presenti vanno a scrivere il proprio nome (a testimonianza della loro presenza), e delle misteriose buste vuote e oblunghe. Qui il dono standard è infatti $denaro sonante$ e le suddette buste servono proprio per infilarci i soldini che si intende regalare. (Sulla busta in cui infili i soldi devi scrivere il tuo nome: le donazioni verranno poi annotate in un apposito registro che i novelli sposi possono consultare per capire chi, dei loro invitati, è un amico vero e chi un pezzente morto di fame).

Alla donazione, dicevo, non si scappa per un motivo ben preciso, chiamato sikkwon (食券). Trattasi di un oggetto fondamentale e preziosissimo che si riceve alla consegna della mazzetta busta col dono; tradotto letteralmente, sikkwon significa “biglietto del pasto” ed è appunto il magico passaporto che consente l’accesso alla sala rinfresco, ma di questo narrerò in seguito perché sta iniziando la cerimonia.

Sikkwon, ovvero il prezioso biglietto del pasto

 

Come ogni rito e anzi proprio in quanto tale, il matrimonio coreano è caratterizzato da alcune azioni, o fasi, prestabilite e invariabili, che ne sanciscono la sacralità e l’autorità. Schematizzando abbiamo:

–          L’ingresso degli sposi: con indosso abiti da cerimonia all’occidentale, la coppia si fa una breve passeggiata lungo il percorso rialzato che parte dall’ingresso centrale andando infine a fermarsi di fronte all’”altare” dove l’officiante attende impaziente (1 minuto);

–          Il discorso degli sposi: per l’emozione e la tensione (“SANTO CIELO, COSA STO FACENDO?!”) essi si impappinano o ridono istericamente leggendo frasi preconfezionate che pure hanno provato per mesi e mesi (5-7 minuti);

–          Il discorso dell’officiante; probabilmente è la prima (e sicuramente l’ultima) volta che incontra la felice coppietta, ma è comunque in grado di raccontare a noi tutti la loro biografia amorosa e di illustrare loro la vita di gioia e gaiezza che li attende (5-7 minuti);

–          Il momento dell’imbarazzo; probabilmente la parte più importante e tipicamente coreana di tutto il rituale. Gli amici di almeno uno dei due sposi organizzano, a “sorpresa”, un omaggio musicale per la coppia. Le modalità possono variare notevolmente: partendo dalle ballate per chitarra e voce solista e arrivando ai pezzi gospel cantati e ballati da una mandria di ragazzini della chiesa battista frequentata dalla coppia, passando per balletti sexy al ritmo dell’ultima hit del momento, e via dicendo. La sola regola fissa è che gli interpreti devono possedere un senso musicale e un’intonazione e/o movenze buoni quanto l’inglese di Rutelli. Alla fine il pubblico, seppure visibilmente imbarazzato quanto se non più degli “artisti” stessi, applaude simulando divertimento (5 minuti);

–          Il saluto ai genitori; una volta finita la trista canzoncina l’atmosfera si fa di nuovo seria, ‘ché i neo sposi devono prostrarsi di fronte ai genitori di lei prima e di lui dopo (ordine di importanza ascendente), giusto per ricordare ancora una volta chi è che comanda realmente. Il padre di lei sfodera invariabilmente lo sguardo truce delle occasioni speciali (3 minuti);

–          La passeggiatina finale: gli sposi percorrono all’incontrario il percorso da cui erano entrati mentre gli altoparlanti diffondono, in ordine, musica di buon augurio generale stile “Brigitte Bardot” nr.1, marcia nuziale, musica di buon augurio generale stile “Brigitte Bardot” nr.2 (45 secondi).

 

Si conclude così, nel giro di venti o trenta minuti al massimo, la bella cerimonia, e gli invitati che non sono così pazienti da restare per le foto di gruppo si affrettano verso la sala per il rinfresco, il momento più atteso della giornata. Se in Italia l’usanza prevede un lauto pranzo consumato in un ristorante prenotato per l’occasione, in Corea il pasto viene offerto presso la stessa sede ove ha avuto luogo il matrimonio, in una sala apposita che si trova genericamente “al piano di sotto”.

Tranne casi sporadici, inoltre, non ci si deve aspettare una serie di portate servite direttamente al tavolo: nella saletta ci aspettano un grosso tavolo buffet e, tutt’attorno, una schiera di distinti signori e signore di mezza età che lo stanno assaltando manco fossero cavallette. Per assicurarsi il pasto prima di chiunque altro (ma forse, visto quello che rimane dopo il loro passaggio, sarebbe meglio dire “a posto di chiunque altro”) i suddetti distinti signori hanno abbandonato la cerimonia già durante il discorso dell’officiante, anzi alcuni probabilmente nemmeno hanno visto gli sposi poiché, appena arrivati alla wedding hall, hanno giusto mollato la busta all’ingresso e sono direttamente andati a mangiare.

In ogni caso, è qui che entra il gioco il sikkwon cui ho accennato in precedenza: esso è stato inventato per evitare che, come accadeva una volta, sconosciuti capitati lì per caso si imboschino al rinfresco mangiando a sbafo senza lasciare nemmeno una lira, anzi un won in regalo. Ancora non è stato invece inventato un sistema per risolvere il problema, altrettanto stringente, rappresentato da coloro che si presentano con la famiglia al completo (nonna, moglie e due figli), nella busta-regalo collettiva infilano 20000 won (15€) e in cambio ricevono uno sikkwon per ogni congiunto.

Ma basta chiacchiere, si inizia a mangiare! Ed ecco che arrivano anche gli sposi, che nel frattempo si sono cambiati indossando l’abito tradizionale coreano (lo hanbok 韓服), non per mangiare (non sia mai!) ma per fare il giro dei tavoli per salutare gli invitati uno ad uno. Bisogna pure sbrigarsi, perché nel frattempo il matrimonio organizzato nello slot successivo sta per finire e si deve lasciare la sala banchetto libera per le nuove cavallette.

Ed è così che, in un’ora scarsa, tutto è finito e si può tornare a casa, felici e contenti per un altro amico che è finalmente diventato un adulto vero. Oppure all’ultimo momento salta fuori un altro compagno di università che inizia a distribuire a sorpresa inviti per il suo matrimonio e tutto ricomincia daccapo.

I coreani e il matrimonio – Parte 1

Posted in Asia Orientale, corea, Pubblica utilità with tags , , , , , , , , , , , on 5 aprile 2012 by patatromb

Aprile, il mese dei bei fiori sbocciati, e dei cuori palpitanti di primaverile gaiezza, è finalmente iniziato, di conseguenza ieri all’ora di pranzo a Seoul nevicava e, visto l’andazzo delle temperature, continuerà probabilmente a farlo ancora per parecchi giorni. Tutto questo non si ricollega assolutamente con il tema di cui vi parlo quest’oggi, vale a dire i matrimoni coreani; tema suggeritomi certo dalla promessa di rosei ciliegi in fiore e odorose camelie, ma anche e più che altro dalla impressionante mole di inviti di nozze che mi sono trovato passivamente a collezionare in questi ultimi tempi.

I miei compagni di dipartimento sembrano infatti aver recentemente individuato nell’atto di sposarsi il loro passatempo prediletto, almeno a giudicare dal non indifferente numero di cerimonie nuziali organizzate tra i mesi di febbraio e di maggio di quest’anno (per ora siamo a cinque, ma il numero potrebbe benissimo essere destinato a salire).

L’attuale foga matrimoniale, in parallelo con il fatto che, in tre anni e mezzo passati in Corea sono stato invitato a più matrimoni che in venticinque-ventisei anni passati in Italia, è comprensibile familiarizzando con l’idea, propria dei coreani (e più in generale delle genti dell’Asia Orientale), che il matrimonio è il rituale che sancisce effettivamente e l’ingresso definitivo nell’età adulta e, soprattutto, il riconoscimento degli sposandi come sani e completi membri della società civile. (corollario: se non sei sposato o almeno non pianifichi di farlo entro i trent’anni, che corrispondono in realtà ai 28/29 anni del computo italiano[1], non sei normale).

 ***

Ma insomma! Come si sposano, questi coreani?? Quest’oggi  parleremo dei preparativi.

Dopo che i fidanzatini hanno deciso di fare il grande passo, la prima cosa da fare è l’incontro ufficiale con i genitori, ‘ché sono loro a dever dare il consenso al matrimonio; ma su questo non posso dire molto poiché, potrete ben immaginarlo, non è qualcosa a cui si può normalmente assistere da esterni.

In compenso ciò che si può liberamente vedere sono i risultati del successivo passo, id est gli scatti ufficiali dal fotografo. Pagando fior fior di quattrini, ogni dolce coppietta va infatti a farsi fotografare in pose imbarazzanti e improbabili (tipo lei seduta su e lui appoggiato con nonchalance ad un gigantesco cuoricione di plastica gigante, in un turbinio di petali e photoshop), alternando negli scatti abiti tradizionali (hanbok) sia vestiti da cerimonia all’occidentale (verosimilmente gli stessi che verranno utilizzati il giorno della cerimonia). Queste foto possono all’occorrenza essere usate per decorare gli inviti, vengono talvolta proiettate durante la cerimonia o, più semplicemente, sono fieramente mostrate agli amici (con l’ausilio di tablet e smartphone, mai visto un album cartaceo).

Gli inviti, cartoline fisicamente non molto dissimili da quelle che si usano anche in Italia,  seguono un modello fisso: un breve testo (non più di un paio di frasi) in cui si esalta, con una significativa dose di retorica, l’ammmmmore e la gioia dei novelli sposi; segue il nome degli sposi subordinato a quello dei genitori (ad es., non “Pippo e Gina si sposano”, ma “Pippo secondo figlio di Ugo Rossi e Pina Verdi e Gina prima figlia di Adolfo Marzi e Sandra Moli si sposano”); quindi data e luogo (ovviamente); infine, non possono assolutamente mancare, ed anzi sono l’elemento che occupa la parte più ampia dell’invito, una mappetta fortemente stilizzata che spiega come arrivare al luogo del matrimonio e le informazioni per arrivarvi con i mezzi pubblici.

Alcuni inviti, diretamente dalla mia collezione personale

 

Già, il luogo del matrimonio! Se in Europa ci si sposa tendenzialmente in chiesa o in comune, le abitudini coreane sono ben diverse: praticamente qualsivoglia spazio in cui riescono ad entrare almeno un centinaio di persone può essere utilizzato per la cerimonia (celebre il caso dei due vietnamiti sposatisi nella saletta riunioni del vecchio dormitorio, demolita solo un paio di mesi dopo), ma le due location più gettonate sono i saloni degli alberghi di lusso e le wedding hall, esercizi commerciali appositi dotati di officianti, varie sale per matrimoni (perché se ne tengono diversi in contemporanea), sala per il rinfresco e tutto ciò che serve. Saloni e wedding hall sono strutturati fondamentalmente nella medesima maniera: tre ingressi, due laterali e uno centrale, un passaggio (di solito rialzato, illuminato e con decorazioni floreali) che dall’ingresso centrale porta al palco con un piccolo altarino, sedie per gli ospiti (poche, così la maggior parte degli invitati deve stare in piedi) e uno o più grandi teli per proiezioni.

Vista l’impressionante quantità di matrimoni organizzati nei week-end (sabato e domenica) se non si prenota la sala con almeno un paio di mesi di anticipo c’è il rischio di doversi sposare ad orari disgraziati, tipo il sabato alle sette di sera, ed è così che mi son bruciato tutto il weekend, mannaggia a te, mia cara amica YJH, e ancora auguri!

 

Per quanto riguarda i preparativi è tutto (più o meno): nella prossima puntata descriverò dettagliatamente (?) la cerimonia, il rinfresco e tante altre cose belle! Non perdetela!

E abbasso le lezioni alle otto del mattino, sempre!


[1] Del computo dell’età in Corea scriverò, forse, in un’altra occasione.

Buon Natale!

Posted in Notizie dall'Italia, Pubblica utilità with tags , , , , , , , , on 25 dicembre 2011 by patatromb

Buona festazza a tutti!