Archivio per Corea

La sedia che gira

Posted in Arte, corea, Pubblica utilità with tags , , , , , , , , , , , on 22 luglio 2014 by patatromb

Al Dongdaemun Design Plaza di Seoul ci stanno queste sedie che girano e oggi trovandomele davanti ho dovuto provarle. Con ogni probabilità il momento più alto dei miei 31 anni di vita.

 

 

Il Maitreya del monte Gwanak e altre importanti esperienze montane

Posted in Asia Orientale, Buddhismo, corea, Gite, Wisdom with tags , , , , , , , , , , , , on 7 luglio 2014 by patatromb

Questa è la storia di un uomo e della sua Ricerca della Via.

Avendo recentemente acquistato la macchinetta fotografica nuova e non avendo nessuna esperienza nel suo utilizzo, ieri l’altro anziché andare in studio a compiere il mio dovere ho deciso di uscire e fare qualche scatto qua e là in giro per il mondo, che in Corea è sinonimo di montagna.

Se per scendere dal dormitorio dell’università alla città vera e propria si prende il bus, ad un certo punto si arriva al Girello della morte, un capolavoro di pianificazione di percorso mezzi pubblici che solo un coreano avrebbe potuto concepire.

Ecco, proprio nei pressi del Girello della morte vi è un grosso cartello stradale che indica la presenza, da qualche parte sulle pendici del monte che sorge a est del dormitorio, di un bassorilievo rappresentante Maitreya in forma di Buddha, con tutto ciò che questo comporta. Io ‘sto cartello l’avevo adocchiato già 5 o 6 anni fa e una volta, credo corresse il 2010, avevo pure provato a cercare dato bassorilievo, poi in quell’occasione l’unica cosa degna di nota che riuscii a trovare fu un colossale scoiattolo coreano intento a fare robe e che potete ammirare nello spettacolare video naturalistico qui sotto.

La fallimentare spedizione di qualche anno fa mi aveva deluso tanto da farmi rinunziare a qualsivoglia ulteriore tentativo di scalata, convinto com’ero che l’esistenza del Maitreya del monte Gwanak altro non fosse che una leggenda metropolitana. Ritrovati tuttavia forza e coraggio grazie alla gagliarda potenza derivante dal mio nuovo acquisto, venerdì alle due del pomeriggio mi son messo in marcia, scendendo a piedi fino al Girello della morte e da lì oltre, passando di fronte alla spettacolare “chiesa” che da anni campeggia fiera e insensata nello header di questo blog, degna metafora di quanto di decadente e triste esiste in questo paese.

Decadenza e fede: la chiesa protestante Chungŭn da qualche parte a Seoul

Decadenza e fede: la chiesa protestante Chungŭn da qualche parte a Seoul

 

Finché la strada era asfaltata vabbè, non ho incontrato grossi ostacoli. Qualche problema è invece sorto quando, finalmente penetrato nel bosco, ho provato a cercare il percorso che porta al bassorilievo. Perché sì, ovviamente esistono dei sentieri battuti, e ci sono anche dei cartelli che, qua e là, dovrebbero indicare la strada per il monumento. Il problema è che le anime pie che si sono occupate di prepararli e posizionarli a) non hanno pensato che i cartelli andrebbero idealmente messi ai bivi/incroci, e non sui rettilinei e b) hanno deciso di realizzarli con una certa creatività, per cui talvolta per arrivare a un determinato luogo bisogna seguire le indicazioni per un altro.

Qua tipo siamo ancora all'inizio del percorso e ci sono delle scale vere

Qua tipo siamo ancora all’inizio del percorso e ci sono delle scale vere

 

Io in ogni caso ho innanzitutto provato a cercare col cellulare il percorso sulle mappe di Naver, il celebre portale internet coreano: qui di sotto vedete il risultato della ricerca: una linea semi-retta in mezzo al niente.

Chiarezza alla coreana 1

Chiarezza alla coreana 1: si parte dalla svastica e si arriva alla A

Chiarezza alla coreana 2:  vai sempre dritto che poi arrivi!

Chiarezza alla coreana 2: vai sempre dritto che poi arrivi!

 

All’inizio ho anche dato retta alla mappina digitale, che mi aveva persuaso dell’esistenza di un’unica, facile via, poi al quarto bivio non segnalato ho lentamente ma inesorabilmente iniziato a metterne in dubbio l’attendibilità, per poi abbandonarla mestamente dopo circa un’ora di scalata disperata e inane. Certo, io magari avrei anche potuto evitare di prendere la via sbagliata ogni volta in cui ciò era possibile allungando a dismisura il percorso, ma questa è un’altra storia.

Dopo un certo punto è tutto così e sfido a non perdersi

Dopo un certo punto è tutto così e sfido a non perdersi (clicca la foto per poter meglio osservare una vecchia scalatrice coreana all’opera)

Stando ai cartelli presenti qua e là lungo il percorso, il bassorilievo si trova a circa 1200 metri dal Girello della morte, che tipo se ci metti una mezz’ora a percorrerli è tanto. Dopo un’ora e venti dalla partenza, che ancora non si intravvedeva nulla che non fossero alberi o rocce, mi sono seduto sconsolato su una pietra, attendendo il passaggio di qualche sant’uomo a cui chiedere indicazioni. Dopo un quarto d’ora abbondante di solitudine è comparso un giovane uomo grondante sudore il quale, sentendosi rivolgere la parola da un uomo bianco, ha innanzitutto mostrato un’espressione scioccata, ha poi dichiarato farfugliando di non aver idea di che cosa stessi parlando, ed è infine fuggito con inusitata celerità lasciandomi solo come l’ultima fetta di salame che nessuno vuole mangiare. Passato qualche altro minuto sono comparse tre signore di una certa età, di cui la più vecchia a piedi nudi, però visto che stavano parlando di suocere che vogliono cacciare il marito di casa e di consorti fedifraghi, non ho avuto cuore di interrompere il loro importante dibattito per richiedere indicazioni.

 

Qua e là ne ho approfittato per scattare qualche foto artistica, tipo qua si vede grosso modo come è fatta una città più grande di Gorizia

Qua e là ne ho approfittato per scattare qualche foto artistica, tipo qua si vede come è fatta una città più grande di Gorizia (cliccaci sopra altrimenti non si capisce nulla)

Alberi e rocce

Alberi e rocce

Una suggestiva immagine megaeffettata

Una suggestiva immagine megaeffettata

Altri palazzoni: i coreani adorano i palazzoni

Altri palazzoni: i coreani adorano i palazzoni

 

Quando oramai iniziavo a disperare, l’illuminazione: vuoi vedere che da qualche parte sulla rete si trovano le spiegazioni scritte su come arrivare a destinazione? E cerca che ti cerca (siano benedetti gli smartphone), ho effettivamente trovato quello che mi serviva sul sito dell’ufficio distrettuale di Gwanak (che è il “quartiere” di Seoul dove sta tutta la roba di cui parlo in queste pagine). Ecco, qui sotto riporto per voi “How to easily find Boncheon-dong Maaemireukbul”, spero apprezziate quanto me lo spirito di internazionalità e la chiarezza esplicativa di cui esso è infuso.

How to easily find qualche cosa!

How to easily find qualche cosa!

 

Anche se nessuno mi crederà, questo sgranatissimo file .jpg mi ha realmente aiutato ad arrivare dalle parti del Buddo (sarebbe forse più corretto dare il merito alle didascalie sotto le fotine, e vi auguro a decifrare ‘sta roba su uno schermo a 4 pollici). Dico “dalle parti di” e non “al” perché le indicazioni sono relativamente chiare solo fino al terzo punto della miniguida: in sostanza seguendole si riesce ad arrivare al campo di lavori forzati “Sangbong Yaksutŏ” (di cui parleremo in un’altra occasione), poi però ci sta scritto “una volta arrivato lì., da quapparte ci sta una certa stradina e se la si piglia si arriva al monumento” (e vai tu a capire cosa ci sta nella terza foto che “mostra” il ‘quapparte’), che son quelle cose che ti fanno dubitare delle capacità intellettive dei coreani.

Qui, da qualche parte!

Qui, da qualche parte!

 

L’unica strada che ho trovato parte giusto dietro a una struttura colonizzata da un gruppo di atletiche nonnine che, scopo ultimo dell’alpinismo in Corea, si stavano allegramente ubriacando di soju e makkŏlli. Convinto di avercela finalmente fatta, mi sono immesso sulla suddetta stradina e ho iniziato a salire, salire, salire: dieci minuti dopo, trovandomi di fronte a una piccola trincea militare e dei misteriosi tubi neri parzialmente nascosti nel terreno, ho realizzato come, evidentemente, non fosse nemmeno quella la strada che stavo cercando. E così retromarcia, non ci resta altro da fare che chiedere alle vecchie ubriache!

Simpatica trincea, metti che un giorno i nord coreani decidono di attaccare il monte Gwanak

Simpatica trincea, metti che un giorno i nord coreani decidono di attaccare il monte Gwanak

 

Eh, appunto le vecchie: mentre tornavo al punto di partenza una di loro, infischiandosene o forse ignara del fatto che mi trovavo a non oltre una quindicina di metri di distanza da lei in posizione sopraelevata e con una visuale perfetta, ha deciso di calarsi le braghe e di liberare la vescica nel bel mezzo della natura: io appena realizzato quanto stava accadendo di fronte ai miei occhi ho immediatamente cercato di volgere altrove lo sguardo ma già so che quei pochi, agghiaccianti istanti in cui mi è toccato vedere quello che ho visto mi perseguiteranno vita natural durante.

Come che sia, effettivamente le eleganti signore sapevano dove si trova il buon Maitreya del monte Gwanak e una di loro, quella meno alticcia, mi ha pure accompagnato lungo una parte del percorso (che già oggi non sarei in grado di ritrovare): e così, dopo solo due ore e venti, ero finalmente di fronte alla tanto agognata opera d’arte. La targa con le informazioni sul Buddha presente in situ è fornita di una traduzione in un inglese sorprendentemente buono, quindi senza che mi dilunghi in descrizioni e robe ve la piazzo qui sotto e via, poi così potete pure indirettamente apprezzare il sottoscritto in essa riflesso, ulteriore incentivo a cliccare l’immagine e ammirarla/mi in tutto il suo/mio splendore.

Bellezza e informazioni utili, tutto in una foto!

Bellezza e informazioni utili, tutto in una sola foto!

Maitreya pigliato di fianco

Maitreya pigliato di fianco (봉천동 마애 미륵불좌상)

Maitreya in tutto il suo splendore, che se ne frega di te e guarda da un'altra parte

Maitreya in tutto il suo splendore, che se ne frega di te e guarda da un’altra parte

 

Un topos della letteratura buddhista vede il monaco pellegrino di turno incontrare, nel bel mezzo di un monte sperduto e disabitato, una figura misteriosa -di solito un anziano o un asceta dall’aspetto bizzarro- che lo guida in un luogo favoloso in cui il Dharma è pienamente realizzato: inutile dire che tale figura altri non è che un bodhisattva in incognito, che appena compiuto il suo dovere, vale a dire rendere manifesta in forma tangibile al pellegrino la validità e verità degli insegnamenti buddhisti, svanisce nel nulla, come fosse nebbia.

Mentre ammiravo il bassorilievo anche io ho provato un’esperienza affine, anche se l’ordine degli eventi e il loro risultato sono stati un po’ differenti. Ad un certo punto, infatti, è comparso dal nulla un signore che ha preso a dirmi cose. Tante cose. A ruota libera, e la saggezza sgorgava copiosa dalle sue labbra, una saggezza propria solo dei bodhisattva. Per mezzo delle sue profonde e oculate parole, egli si è rivelato, nell’ordine, un filosofo di prim’ordine (“a me piacciono le montagne perché sono come la vita, un po’ si va su, un po’ si va giù”), un sociologo d’eccezione (“la Corea è un grande paese perché c’abbiamo il senso di etnicità e dunque siamo un popolo unito!”) e un finissimo analista politico (“[problema X] è colpa dei giapponesi!!1!!1!!”). È anche stato tanto magnanimo da offrirmi metà del suo dolcetto farcito con pastone ipercalorico colloso di fagioli dolci, certo se magari avessi avuto qualcosa da bere forse lo avrei anche apprezzato di più e non avrei rischiato a più riprese di morire per soffocamento da fagioli.

Alcuni pensano che Seoul sia sul mare

Alcuni pensano che Seoul sia sul mare

 

Dopo una mezz’ora abbondante, così com’era comparso, il Portatore di Saggezza decise che era giunto il momento di congedarsi, non prima però di meco condividere i suoi preziosi consigli su come tornare a valle, ché nel frattempo si stava anche facendo sera e magari non era il caso di restare intrappolati nel bosco avvolto dalle tenebre.
“Signore, so che ci dovrebbe essere un sentiero che porta direttamente al dormitorio, giusto?”
“No, non c’è. Devi fare tutta la strada a ritroso fino al Girello della morte, io questa montagna la conosco bene e non esiste proprio una strada che va fino all’università”, che se gli davo retta mi sa che la protezione civile stava ancora a cercarmi, grazie al cielo tempo cinque minuti e ho subito trovato il percorso diretto al dormitorio: un percorso pratico e veloce e che a parte che ad un certo punto mi stavo per maciullare la caviglia sinistra, mi riportò in appena una ventina minuti nel mondo civilizzato, e quindi uscii a riveder la strada.

The end

The end

Tutti a Ch’ŏrwŏn!

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Due domeniche fa, era una bella, profumosa giornata primaverile, gli unici passeggeri della corriera diretta verso Ch’ŏrwŏn erano il sottoscritto, il giovane K.Y.W. (noto anche come il ragazzo dagli occhi protrusi) e alcune solitarie ragazzette pensierose. Sorge spontaneo chiedersi perché mai, in una così raidosa giornata, delle fanciulle nel fiore degli anni dovrebbero dirigersi verso un desolato, spoglio e decrepito paesotto del Kangwŏn-to a quattro passi dal confine con la Corea del Nord. ‘Sicuramente seguivano te e il baldo K.Y.W. (noto anche come il ragazzo dagli occhi da cerbiatto)’, avrete probabilmente pensato voi che leggete: tuttavia la risposta più ovvia, ahinoi, non sempre è quella corretta.

Il giovane K.Y.W. a bordo di un'affollata corriera

Il giovane K.Y.W. a bordo di un’affollata corriera

Da quapparte in Corea

Da quapparte in Corea

Come ho già avuto modo di notare in precedenza, Ch’ŏrwŏn è ben vicina al confine con la riottosa sorella socialista della Corea del Sud e tutta la zona che la circonda è conseguentemente (e comprensibilmente) piena zeppa di basi militari, basi militari che a loro volta sono piene zeppe di gagliardi soldati di leva che si addestrano a spezzar le reni agli empi sudditi di Kim Chŏngŭn (=Kim Jong-un)! Prima di partire per il servizio militare (che in queste terre dura ben due anni) alcuni di loro avevano trovato la fidanzatina e, tra questi, i più fortunati erano riusciti a non farsi lasciare al momento della partenza. Le nostre compagne di viaggio, lo avrete a questo punto oramai capito, sono alcune di quelle fidanzatine, donne modello che non solo sono tanto pazienti da attendere un lungo biennio prima di poter riavere indietro il loro principe azzurro (nel frattempo divenuto nella maggior parte dei casi un bestemmiatore tabagista amante dell’alcool), ma che sono anche tanto magnanime da sacrificare il loro fine settimana per andare a trovare nel nulla più assoluto suddetto principe azzurro: ad avercene, di donne così!

Una base militare abilmente mimetizzata nell'ambiente

Una base militare abilmente mimetizzata nell’ambiente

Detto questo, sorgerà spontanea un’altra domanda, vale a dire, cosa ci stavano dunque a fare su quell’autobus il buon Marco e il giovane K.Y.W. (noto anche come il ragazzo dallo sguardo che incanta)? ‘Forse andavano a trovare anche loro dei fidanzatini in servizio di leva’, avrà pensato il lettore più smaliziato, lettore che, tuttavia, mi vedo nuovamente costretto a contraddire.

Dovete sapere che, non molto distante da Ch’ŏrwŏn, sorge il Dop’iansa (倒彼岸寺), monastero buddhista ove è conservata una statua in ferro datata al 865, identificata da tutti gli storici dell’arte coreana[1] come un Vairocana in chigwon’in (智拳印, vajra mudrā in finto sanscrito, una roba complicata che non sto a spiegarvi qui perché sennò non finiamo più, in sostanza si tratta di un Buddha assiso che alza le mani all’altezza del petto pigliandosi l’indice della mano sinistra con tutta la mano destra stretta a pugno).

Voi, ne sono moderatamente certo, questa statua non l’avete mai nemmeno sentita nominare ma vi prego lo stesso di credermi quando vi dico che si tratta di una di quelle opere fondamentali che compaiono in tutti i libri di storia dell’arte coreana. Noi due maschietti, lo avrete a questo punto oramai capito, eravamo diretti verso il Dop’iansa che per inciso è, visto il luogo dimenticato da Dio in cui sorge, uno di quei posti che tutti conoscono ma che nessuno ha mai visitato.

Il glorioso terminal del villaggio di Tongsong, capolinea della corriera

Il glorioso terminal del villaggio di Tongsong, capolinea della corriera

Un pensiero gentile rivolto a tutte le coppiette separate dalla naja

Alle spalle del terminal, un pensiero gentile rivolto a tutte le coppiette separate dalla naja

Il nostro pranzo

Il nostro pranzo

Prima di andare ad ammirare la statua di cui sopra, tuttavia, ne abbiamo approfittato per fare una capatina all’altro monumento di Ch’ŏrwŏn, il Nodongdang-sa (勞動黨舍), cioè l’Ufficio del Partito dei Lavoratori. Con “Partito dei Lavoratori” ci si riferisce ovviamente al Partito dei Lavoratori della Corea del Nord, ‘ché nel 1946, quando questo edificio venne eretto, qua era tutta terra comunista! Ai tempi  della Guerra di Corea gli ammeregani e i loro alleati sudcoreani si erano convinti che qua dentro ci fosse chissà cosa, concentrando così (con successo) tutta la loro forza per la presa dell’”Ufficio” in questione. Ora è tutto in rovina, colle pareti completamente crivellate di colpi e la scalinata di accesso sbriciolata dai cingoli di un carro armato, e chissà all’epoca quanti morti L.

Il Nodongdang-sa. K.Y.W. si è lamentato che col bel tempo perde tutta l'aura di malvagità che dovrebbe avere

Il Nodongdang-sa. K.Y.W. si è lamentato che col bel tempo perde tutta l’aura di malvagità che dovrebbe avere

Come ben sapete, i coreani (del Sud) tendono a smantellare qualsiasi edificio non gli vada ideologicamente a genio, dunque come mai questo Nodongdang-sa è ancora in piedi? La risposta, stando al giovane K.Y.W., è che da una parte l’edificio viene sfruttato in funzione propagandistica (“guardate! I cattivi comunisti qua dentro facevano cose cattivissime! BRR!”), dall’altra bisogna tenere presente che, fino alla fine degli anni ’80, l’accesso a tutta l’area a nord di Ch’ŏrwŏn City era interdetto ai civili, ergo non c’era né la necessità di, né la manovalanza adatta a demolire l’edificio che, nel frattempo, è stato registrato come bene culturale e quindi resterà qui finché regge.

Tatatatatà! Una colonna che, pur se crivellata di colpi, non si è piegata al nemico!

Tatatatatà! Una colonna che, pur se crivellata di colpi, non si è piegata al nemico!

Uno sguardo dal retro

Uno sguardo dal retro

Ecco cosa succede a salire le scale col carrarmato

Ecco cosa succede a salire le scale col carrarmato

La trafficata strada da e per il Nodongdang-sa

La trafficata strada da e per il Nodongdang-sa

Al Nodongdang-sa ci siamo arrivati nella maniera più comoda e veloce possibile, vale a dire in tassì, mentre da qui al Dop’iansa ce la siamo fatta a piedi (tanto sono solo tre chilometri!). Lungo la strada ci siamo casualmente imbattuti nelle rovine di un altro edificio “storico”, la Chiesa metodista di Ch’ŏrwŏn, fondata del 1936 e andata distrutta nemmeno una ventina di anni dopo, ovviamente ai tempi della solita Guerra di Corea. Io e il giovane K.W.Y. abbiamo approfittato della fortuita scoperta per scattare alcune pregevoli fotografie che potete di seguito ammirare.

Io in una delle mie pose migliori

Io in una delle mie pose migliori

Il giovane K.Y.W. in una delle sue pose migliori

Il giovane K.Y.W. in una delle sue pose migliori

Spettacolare foto con effetto

Spettacolare foto con effetto

Il monumento in tutta la sua imponenza

Il monumento in tutta la sua imponenza

Risaie

Risaie

Ci siamo quasi

Ci siamo quasi

Un’ora dopo, sudati, assetati e sfiancati dall’inaspettatamente afosa aria di queste terre selvagge  delle risaie di Ch’ŏrwŏn, siamo arrivati al Dop’iansa. Oltre al Vairocana in ferro di cui vi ho già parlato, presso il Dop’iansa si trova anche un altro famoso monumento antico, una pagoda il pietra di cui non si sa niente di preciso e che per questo motivo viene ritenuta da tutti coeva alla nostra cara statua (sì, non c’è logica dietro a questa tecnica di datazione). I vari libri se la sbrigano descrivendola come uno dei massimi capolavori nel suo genere, glissando inspiegabilmente sul curioso senso di instabilità che ne emana, ma tant’è. La pagoda è da qualche anno salita alla ribalta (!) perché in essa sono stati avvistati a più riprese (!!) i BODHISATTVA AUREI (!!!), che non ne sapevo niente e all’inizio mi sono tutto eccitato ma poi ho scoperto che in realtà si tratta di una coppia di ranocchi <sic> che di tanto in tanto sbuca da una fessura della pagoda.

Il Dop'iansa. Al momento gli edifici 1, 3 e 13 non esistono

Il Dop’iansa. Al momento gli edifici 1, 3 e 13 non esistono

Ingresso al monastero

Ingresso al monastero

La pagoda del Dop'iansa e una vecchia maledetta che si è infilata nella foto proprio al momento giusto

La pagoda del Dop’iansa e una vecchia maledetta che si è infilata nella foto proprio al momento giusto

La base della pagoda. Da qui quando gli va spuntano i bodhisattva aurei

La base della pagoda. Da qui quando gli va spuntano i bodhisattva aurei

Dopo le foto di rito alla pagoda abbiamo fatto una capatina all’ufficio amministrativo/negozietto e abbiamo chiesto alla signora che vi lavora:

“Dai, ci fai fare le foto alla statua??”

e lei “Ma non si può”.

“E su, guarda che occhioni ha K.Y.W.” e a queste parole, e grazie a quegli occhi, ella infine si sciolse, accordandoci il tanto agognato permesso (in realtà le abbiamo detto altre cose che per motivi di ordine pubblico non posso rivelarvi) (non è vero, le abbiamo semplicemente fatto notare che ci occupiamo di storia dell’arte buddhista e volevamo fare delle foto per motivi di studio) (apro un’ultima parentesi, così, a caso).

Quel giorno la sorte era evidentemente dalla nostra perché non solo abbiamo ottenuto senza particolare fatica il permesso per fotografare la statua (di solito è severamente proibito) ma soprattutto perché, essendo il padiglione in cui essa è normalmente esposta in fase di restauro/ricostruzione, la pregiata icona è stata temporaneamente ricollocata in un piccolo padiglione prefabbricato certo orrido, ma che ci ha permesso di avvicinarla in una maniera che sarebbe stata altrimenti impossibile, e le foto che abbiamo scattato sono lì a testimoniarlo. Peccato che non possiate vederle anche voi, ah!

Il padiglione prefabbricato

Il padiglione prefabbricato

Il nostro caro Vairocana

Il nostro caro Vairocana

Un profilo maestoso

Un profilo maestoso

Poi niente, si è fatta una certa ora, così abbiamo chiamato un tassì, siamo tornati a Ch’ŏrwŏn e da lì nuovamente a Seoul in corriera, e questo è quanto.

Un ultimo saluto!

Un ultimo saluto prima di tornare a casa!

Detta con franchezza, dubito che qualcuno di voi lettori vorrà mai avventurarsi in queste lande sperdute, ma se qualcuno non resistesse alla tentazione e non potesse proprio farne a meno, sappia che il metodo più pratico per farlo consiste nel prendere una corriera o dal Seoul Express Bus Terminal o dal Dong Seoul Bus Terminal e prima o poi si arriva (contate dalle due alle tre ore a tratta a seconda del traffico e una cifra variabile tra i 15000 e i 20000 won). E per questa volta è veramente tutto.


[1]Questa cosa la specifico perché io ho un’idea tutta mia riguardo a quest’opera, ma non è questa la sede adatta per discuterla.

Chŏngwŏl Taeborŭm

Posted in Arte, Asia Orientale, corea, Gite, Pubblica utilità with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 27 febbraio 2013 by patatromb

C’è, in questo blog, un intervento del 2009 intitolato “Capodanno” il cui soggetto è il capodanno lunare, una delle principali festività coreane.

C’è, sempre in questo blog, un altro intervento, stavolta del 2012, dal titolo “Sŏllal 2012”, il cui soggetto è nuovamente il capodanno lunare, che dice praticamente le stesse cose di “Capodanno” ma che però è arricchito da alcune memorabili foto del sottoscritto.

Purtroppo per voi quest’anno, nei giorni in cui cadevano i festeggiamenti per l’inizio dell’anno del serpente, mi trovavo in Italia, ragion per cui non ho potuto riscrivere per l’ennesima volta la solita solfa sui coreani che nei giorni di festa si premono come sardine nei treni e nelle corriere per tornare a casa due giorni e bla bla bla quelle robe lì. Sarà per il prossimo Chusŏk.

 (. )( .)

Fortunatamente per voi, tuttavia, sono tornato a Seoul giusto in tempo per assistere alle celebrazioni del (Chŏngwŏl) Taeborŭm, la tradizionale festa per la prima luna piena dell’anno! Un dettaglio del Sŏllal che finora mi era sempre sfuggito è che esso coincide invariabilmente con un giorno di luna nuova: se ne evince pertanto che il Taeborŭm, in quanto giorno di luna piena, cade invariabilmente due settimane dopo il Sŏllal. Dato che il 2013 lunare ha avuto inizio il 10 febbraio, è dunque semplice calcolare che il giorno in cui si è celebrato il Taeborŭm è il 24 dello stesso mese, i.e. domenica scorsa.

Verso la festa!

Verso la festa!

 

Venuto a sapere della cosa domenica ho pertanto fatto la migliore delle cose possibili, vale a dire andare a godermi la festa presso il Namsan hanok maŭl, il villaggio folkloristico nel cuore di Seoul di cui, prometto, parlerò dettagliatamente in uno dei miei prossimi post, ed è una di quelle promesse tipo che è da un anno e mezzo che devo pubblicare l’ultima parte del mio diario di viaggio in Giappone (2011).

Alcuni coreani in attesa che inizi lo spettacolo

Alcuni coreani in attesa che inizi lo spettacolo

Bimbi e corde, per giocare!

Bimbi e corde, un’alchimia perfetta!

 

Ma insomma, cosa si è fatto in quel di Seoul per festeggiare la prima luna nuova dell’anno? Si è ballato, si è cantato, si son fatti tanti giochi divertenti, si son spaccate le noci (un must: al banchetto per spaccare i deliziosi e durissimi frutti secchi c’era una fila da far invidia al Kansong) e soprattutto, al culmine dell’evento, è stato dato fuoco a un grosso pignarul[1] affinché si portasse via tutte le robe dell’anno passato.

Gente che canta!

Gente che canta!

Gente che suona e che balla

Gente che suona e che balla

Gente che spegne pignarul

Gente che spegne pignarul

 

Ecco, in questa sede avrei voluto parlarvi diffusamente di tutte queste straordinarie attività: delle voci da usignolo delle tre cantanti di p’ansori, dei leggiadri passi di danza dei suonatori di samul nori, di come, fedelmente alla proverbiale fretta dei coreani, il pignarul è stato spento a forza dai pompieri dopo non più di sette minuti dalla sua accensione; tuttavia, nell’istante in cui il Signore degli Aquiloni si è manifestato in tutta la sua maestosa bellezza, tutto il resto ha perso di interesse, quasi svanendo dal mio campo visivo: d’altronde, Lui era di fronte a me.

Il suo elegante caschetto, le sue irresistibili natiche sode e rotonde, il suo sobrio e signorile marsupio giallo, la sua voce persuasiva e melodiosa, i suoi ineguagliabili aquiloni, il suadente fascino virile di chi, con un semplice sorriso, sa di poter ottenere tutto ciò che desidera: sono solo alcuni degli innumerevoli elementi che hanno contribuito a fare di Lui il protagonista indiscusso della giornata, ma che dico!, dell’anno intero!

Ogni altra parola a riguardo sarebbe però superflua, ‘ché il linguaggio umano non può esprimere adeguatamente la natura del Signore degli Aquiloni: per questo, dunque, lascerò che siano le immagini a parlare per me, dandovi appuntamento alla prossima volta, se mai riuscirò a riprendermi dalla Visione.

Il Signore degli Aquiloni

Il Signore degli Aquiloni

Fascino, eleganza, regalità

Fascino, eleganza, regalità

L'apice dell'umanità

L’apice dell’umanità

 

 (. )( .)

P.S. Nel frattempo, mentre ieri in Italia procedeva lo sfoglio delle schede elettorali e sui social network la gente stava a lagnarsi perché è tornato Berlusconi o a vantarsi di aver votato Grillo, in Corea del Sud si insediava finalmente il nuovo Capo dello Stato:

Mrs. President!


[1] Termine che, analogamente al “piastrare” da me menzionato molti interventi or sono, fa riferimento alle belle tradizioni del Nord-est italiano: per informazioni, cercate su google.

Capodanno+veglione=festazza!

Posted in Asia Orientale, corea, Musica, Pubblica utilità with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 10 gennaio 2013 by patatromb

 

Auguri, auguri!

Forse non tutti se ne saranno accorti, ma la scorsa settimana era il primo gennaio: questo significa che era capodanno. Capodanno, a sua volta, significa veglione e veglione significa festa collettiva in piazza. Festa collettiva in piazza significa uscire di casa la sera del 31 dicembre, cercare la piazza dove la gente si raduna per divertirsi tantissimo, ballare saltare e cantare perché lo fanno tutti, alla mezzanotte meno 30 secondi dare il via a un fragoroso conto alla rovescia collettivo terminato il quale tutti si vogliono più bene di prima perché è iniziato l’anno nuovo e, infine, ripigliare a ballare saltare cantare finché ce n’è.

 

Se si va in centro a Seoul e si esce dalla fermata Chonggak della metro, ci si trova davanti al Posin’gak (普信閣). Chonggak significa “Padiglione della campana” e il Posin’gak è, guarda caso, un padiglione con una campana dentro[1].

Ma mica una campana qualsiasi, ‘ché – seppur con varie denominazioni e varie sedi nel corso dei secoli- in città c’è sempre stata, a partire quantomeno dal 1398, una campana la cui funzione originaria era quella di segnalare, al mattino, l’apertura delle porte della città e, alla sera, la loro chiusura; e appunto il Posin’gak sarebbe il padiglione che protegge questa storica campana, anche se a dirla tutta l’edificio attuale risale al 1979 mentre la campana al suo interno è stata forgiata nel 1985, quando quella storica del 1468[2] venne trasferita al Museo Nazionale.

Vista la dubbia utilità, nel XX secolo, di una campana suonata per segnalare l’apertura delle porte della città, peraltro non più in funzione, a partire dagli anni ’80 il Posin’gak è stato reinventato, tramite un interessante processo di “creazione di tradizione”, come monumento simbolo del Capodanno, con la sua campana che viene suonata trentatré volte allo scoccare della mezzanotte del primo gennaio per segnalare l’inizio dell’anno nuovo.

 

Quest’anno mi sono visto mio malgrado impossibilitato a festeggiare il capodanno nell’affascinante e vivace cornice di Piazza Vittoria a Gorizia e, dato che mi trovavo a Seoul, la mia scelta per il veglione è naturalmente caduta sul Posin’gak, dove ogni anno si radunano, pressate come salami, centinaia di miliardi di persone. Ed è solo per voi, miei amati lettori, che ho filmato il momento in cui, a Seoul, fu 2013!

 

L’affascinante Piazza Vittoria, vanto di Gorizia

 

I più attenti di voi avranno forse notato che nessuno ha stappato non dico del costoso spumante, ma neanche mezza bottiglia di birra Cass. In effetti una delle peculiarità del capodanno coreano è che, malgrado il paese sia il più alcolizzato che ci sia, non si brinda allo scoccare dell’anno nuovo. In compenso era pieno di scemi che, anziché festeggiare come si deve, hanno passato il loro tempo a fare filmini col cellulare: io, modestamente, sono uno di loro!

 

Ma, vi starete chiedendo,  il programma della serata in cosa consisteva? Essenzialmente in musica, tantissima musica! Vediamo un po’ chi si è esibito allietando e scaldando i nostri cuori congelati da temperature siberiane.

1- I diversi: l’onore di dare il via alle danze, alle 23 e 30, è toccato ai “Nonmiricordocomesichiamano”, un gruppo di cantanti “multiculturali”, vale a dire sette (?) stranieri (sei asiatiche e un russo) vestiti di bianco, raccolti non so bene dove e che hanno cantato con inspiegabile entusiasmo canzoni brutte in varie lingue: la prima e l’ultima canzone però erano in coreano, un po’ per rassicurare il pubblico, un po’ per dimostrare che sarà il coreano a unire il mondo intiero in un abbraccio di pace fraterna, e così sia![3]

2- I giovani: la “Big band dei ragazzini delle medie” (o qualcosa del genere), appunto dei ragazzini delle medie che suonavano gli strumenti a fiato.

3- I giovanissimi: il momento del “che carino”, ossia due bambini dell’asilo, un maschietto e una femminuccia, che hanno cantato un brano commovente.

 

L’intervallo – Dopo questa giovanissima, pregevole esibizione è arrivata la mezzanotte e, con essa, è toccato ai 33 rintocchi della campana. Non si sono però sentiti, erano coperti dal rumore proveniente dai megaschermi ai lati del padiglione, sui quali sono stati proiettati vari filmati di gente comune che faceva gli auguri di felice 2013. Finiti i rintocchi è ricominciata la musica, e che musica!

 

4- I vecchi: la big band dei sassofonisti ultrasessantenni, per fare da contraltare giovani e giovanissimi. Tra le altre cose ci hanno suonato “Rivers of Babylon”. Durante la loro esibizione la maggior parte delle persone se ne sono tornate a casa.

5- Il cantante di pop-opera: il tipico tenore basso, tarchiato, colla barba, ci ha deliziato con brani originalissimi (O sole mio, Nessun dorma e un brano inglese che non ho riconosciuto.)

6- La cantante famosa: i pochi sopravvissuti al tenore hanno assistito al pezzo forte della serata, la performance della celebre cantante In Suni (è così famosa che c’è persino una pagina della wikipedia italiana a lei dedicata!) Per strizzare l’occhio al pubblico giovane, l’attempata signora si è esibita, tra le varie cose, in un indimenticabile duetto rap con dei giovani rapper bellissimi™ sulla cui identità non posso esprimermi.

7- In gran finale, tutti assieme appassionatamente: dove tutti i maggiorenni esibitisi nel corso della serata sono saliti sul palco per cantare una versione modernizzata dell’Arirang.

All’una e mezza è tutto finito, io per fuggire al congelamento (ultimamente la temperatura media notturna a Seoul si aggira attorno ai -10°C) mi son magnato un panino al Lotteria e poi tutti a nanna!

 

Ah, dimenticavo: i notiziari e i quotidiani italiani raccontano ogni anno che ovunque nel mondo è brindisi e fuochi d’artificio. Per il brindisi abbiamo già visto, ma per i fuochi d’artificio?

 

 

P.S.: si dice che ovunque tu sia, a capodanno ti imbatterai sicuramente in degli italiani. È assolutamente vero. Quelli in cui mi sono imbattuto io li ho riconosciuti perché, nel momento del “che carino”, hanno effettivamente esclamato “che carino!”.


[1] Caro lettore fedele di questo blog, no: il “posin” del nome non è lo stesso “posin” della buona zuppa di carne di cane, i caratteri cinesi con cui le due parole sono scritte sono diversi, così come diverso è il loro significato.

[2] A sua volta creata in sostituzione di quella originale del 1398, andata fusa a causa di un incendio.

[3] Una volta ho assistito a una conferenza dove qualcuno è riuscito a proporre, con tono serio e convinto, di adottare il coreano come lingua internazionale all’ONU a posto dell’inglese e di altre lingue troppo difficili da imparare.

I coreani e il matrimonio – Parte 2

Posted in Asia Orientale, corea, Pubblica utilità with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 14 aprile 2012 by patatromb

Dov’eravamo rimasti? Ah sì, tutti i preparativi per il matrimonio si sono conclusi e, finalmente, è arrivato il tanto atteso giorno della cerimonia di nozze!

Gli invitati accorrono a centinaia e, se non si sono smarriti avendo fallito di decifrare la mappetta stampata nell’invito e sono dunque riusciti ad arrivare con almeno una decina di minuti di anticipo, non possono esimersi dallo scattare le rituali foto con la sposa, che se ne sta esposta a mo’ di bomboniera in uno sbrilluccicoso camerino approntato per l’occasione. Se sei me, invece, arrivi in ritardo e ti risparmi la fatica.

Che si arrivi puntuali o in ritardo, non si può invece scappare a quello che è corrispettivo coreano della consegna del dono nuziale. Ma attenzione: niente liste di nozze in Corea! Accanto all’ingresso della sala dove avrà luogo la cerimonia si trovano due tavoli, uno per gli invitati dello sposo e uno per quelli della sposa e su di essi trovano posto un grosso quadernone, dove i presenti vanno a scrivere il proprio nome (a testimonianza della loro presenza), e delle misteriose buste vuote e oblunghe. Qui il dono standard è infatti $denaro sonante$ e le suddette buste servono proprio per infilarci i soldini che si intende regalare. (Sulla busta in cui infili i soldi devi scrivere il tuo nome: le donazioni verranno poi annotate in un apposito registro che i novelli sposi possono consultare per capire chi, dei loro invitati, è un amico vero e chi un pezzente morto di fame).

Alla donazione, dicevo, non si scappa per un motivo ben preciso, chiamato sikkwon (食券). Trattasi di un oggetto fondamentale e preziosissimo che si riceve alla consegna della mazzetta busta col dono; tradotto letteralmente, sikkwon significa “biglietto del pasto” ed è appunto il magico passaporto che consente l’accesso alla sala rinfresco, ma di questo narrerò in seguito perché sta iniziando la cerimonia.

Sikkwon, ovvero il prezioso biglietto del pasto

 

Come ogni rito e anzi proprio in quanto tale, il matrimonio coreano è caratterizzato da alcune azioni, o fasi, prestabilite e invariabili, che ne sanciscono la sacralità e l’autorità. Schematizzando abbiamo:

–          L’ingresso degli sposi: con indosso abiti da cerimonia all’occidentale, la coppia si fa una breve passeggiata lungo il percorso rialzato che parte dall’ingresso centrale andando infine a fermarsi di fronte all’”altare” dove l’officiante attende impaziente (1 minuto);

–          Il discorso degli sposi: per l’emozione e la tensione (“SANTO CIELO, COSA STO FACENDO?!”) essi si impappinano o ridono istericamente leggendo frasi preconfezionate che pure hanno provato per mesi e mesi (5-7 minuti);

–          Il discorso dell’officiante; probabilmente è la prima (e sicuramente l’ultima) volta che incontra la felice coppietta, ma è comunque in grado di raccontare a noi tutti la loro biografia amorosa e di illustrare loro la vita di gioia e gaiezza che li attende (5-7 minuti);

–          Il momento dell’imbarazzo; probabilmente la parte più importante e tipicamente coreana di tutto il rituale. Gli amici di almeno uno dei due sposi organizzano, a “sorpresa”, un omaggio musicale per la coppia. Le modalità possono variare notevolmente: partendo dalle ballate per chitarra e voce solista e arrivando ai pezzi gospel cantati e ballati da una mandria di ragazzini della chiesa battista frequentata dalla coppia, passando per balletti sexy al ritmo dell’ultima hit del momento, e via dicendo. La sola regola fissa è che gli interpreti devono possedere un senso musicale e un’intonazione e/o movenze buoni quanto l’inglese di Rutelli. Alla fine il pubblico, seppure visibilmente imbarazzato quanto se non più degli “artisti” stessi, applaude simulando divertimento (5 minuti);

–          Il saluto ai genitori; una volta finita la trista canzoncina l’atmosfera si fa di nuovo seria, ‘ché i neo sposi devono prostrarsi di fronte ai genitori di lei prima e di lui dopo (ordine di importanza ascendente), giusto per ricordare ancora una volta chi è che comanda realmente. Il padre di lei sfodera invariabilmente lo sguardo truce delle occasioni speciali (3 minuti);

–          La passeggiatina finale: gli sposi percorrono all’incontrario il percorso da cui erano entrati mentre gli altoparlanti diffondono, in ordine, musica di buon augurio generale stile “Brigitte Bardot” nr.1, marcia nuziale, musica di buon augurio generale stile “Brigitte Bardot” nr.2 (45 secondi).

 

Si conclude così, nel giro di venti o trenta minuti al massimo, la bella cerimonia, e gli invitati che non sono così pazienti da restare per le foto di gruppo si affrettano verso la sala per il rinfresco, il momento più atteso della giornata. Se in Italia l’usanza prevede un lauto pranzo consumato in un ristorante prenotato per l’occasione, in Corea il pasto viene offerto presso la stessa sede ove ha avuto luogo il matrimonio, in una sala apposita che si trova genericamente “al piano di sotto”.

Tranne casi sporadici, inoltre, non ci si deve aspettare una serie di portate servite direttamente al tavolo: nella saletta ci aspettano un grosso tavolo buffet e, tutt’attorno, una schiera di distinti signori e signore di mezza età che lo stanno assaltando manco fossero cavallette. Per assicurarsi il pasto prima di chiunque altro (ma forse, visto quello che rimane dopo il loro passaggio, sarebbe meglio dire “a posto di chiunque altro”) i suddetti distinti signori hanno abbandonato la cerimonia già durante il discorso dell’officiante, anzi alcuni probabilmente nemmeno hanno visto gli sposi poiché, appena arrivati alla wedding hall, hanno giusto mollato la busta all’ingresso e sono direttamente andati a mangiare.

In ogni caso, è qui che entra il gioco il sikkwon cui ho accennato in precedenza: esso è stato inventato per evitare che, come accadeva una volta, sconosciuti capitati lì per caso si imboschino al rinfresco mangiando a sbafo senza lasciare nemmeno una lira, anzi un won in regalo. Ancora non è stato invece inventato un sistema per risolvere il problema, altrettanto stringente, rappresentato da coloro che si presentano con la famiglia al completo (nonna, moglie e due figli), nella busta-regalo collettiva infilano 20000 won (15€) e in cambio ricevono uno sikkwon per ogni congiunto.

Ma basta chiacchiere, si inizia a mangiare! Ed ecco che arrivano anche gli sposi, che nel frattempo si sono cambiati indossando l’abito tradizionale coreano (lo hanbok 韓服), non per mangiare (non sia mai!) ma per fare il giro dei tavoli per salutare gli invitati uno ad uno. Bisogna pure sbrigarsi, perché nel frattempo il matrimonio organizzato nello slot successivo sta per finire e si deve lasciare la sala banchetto libera per le nuove cavallette.

Ed è così che, in un’ora scarsa, tutto è finito e si può tornare a casa, felici e contenti per un altro amico che è finalmente diventato un adulto vero. Oppure all’ultimo momento salta fuori un altro compagno di università che inizia a distribuire a sorpresa inviti per il suo matrimonio e tutto ricomincia daccapo.

I coreani e il matrimonio – Parte 1

Posted in Asia Orientale, corea, Pubblica utilità with tags , , , , , , , , , , , on 5 aprile 2012 by patatromb

Aprile, il mese dei bei fiori sbocciati, e dei cuori palpitanti di primaverile gaiezza, è finalmente iniziato, di conseguenza ieri all’ora di pranzo a Seoul nevicava e, visto l’andazzo delle temperature, continuerà probabilmente a farlo ancora per parecchi giorni. Tutto questo non si ricollega assolutamente con il tema di cui vi parlo quest’oggi, vale a dire i matrimoni coreani; tema suggeritomi certo dalla promessa di rosei ciliegi in fiore e odorose camelie, ma anche e più che altro dalla impressionante mole di inviti di nozze che mi sono trovato passivamente a collezionare in questi ultimi tempi.

I miei compagni di dipartimento sembrano infatti aver recentemente individuato nell’atto di sposarsi il loro passatempo prediletto, almeno a giudicare dal non indifferente numero di cerimonie nuziali organizzate tra i mesi di febbraio e di maggio di quest’anno (per ora siamo a cinque, ma il numero potrebbe benissimo essere destinato a salire).

L’attuale foga matrimoniale, in parallelo con il fatto che, in tre anni e mezzo passati in Corea sono stato invitato a più matrimoni che in venticinque-ventisei anni passati in Italia, è comprensibile familiarizzando con l’idea, propria dei coreani (e più in generale delle genti dell’Asia Orientale), che il matrimonio è il rituale che sancisce effettivamente e l’ingresso definitivo nell’età adulta e, soprattutto, il riconoscimento degli sposandi come sani e completi membri della società civile. (corollario: se non sei sposato o almeno non pianifichi di farlo entro i trent’anni, che corrispondono in realtà ai 28/29 anni del computo italiano[1], non sei normale).

 ***

Ma insomma! Come si sposano, questi coreani?? Quest’oggi  parleremo dei preparativi.

Dopo che i fidanzatini hanno deciso di fare il grande passo, la prima cosa da fare è l’incontro ufficiale con i genitori, ‘ché sono loro a dever dare il consenso al matrimonio; ma su questo non posso dire molto poiché, potrete ben immaginarlo, non è qualcosa a cui si può normalmente assistere da esterni.

In compenso ciò che si può liberamente vedere sono i risultati del successivo passo, id est gli scatti ufficiali dal fotografo. Pagando fior fior di quattrini, ogni dolce coppietta va infatti a farsi fotografare in pose imbarazzanti e improbabili (tipo lei seduta su e lui appoggiato con nonchalance ad un gigantesco cuoricione di plastica gigante, in un turbinio di petali e photoshop), alternando negli scatti abiti tradizionali (hanbok) sia vestiti da cerimonia all’occidentale (verosimilmente gli stessi che verranno utilizzati il giorno della cerimonia). Queste foto possono all’occorrenza essere usate per decorare gli inviti, vengono talvolta proiettate durante la cerimonia o, più semplicemente, sono fieramente mostrate agli amici (con l’ausilio di tablet e smartphone, mai visto un album cartaceo).

Gli inviti, cartoline fisicamente non molto dissimili da quelle che si usano anche in Italia,  seguono un modello fisso: un breve testo (non più di un paio di frasi) in cui si esalta, con una significativa dose di retorica, l’ammmmmore e la gioia dei novelli sposi; segue il nome degli sposi subordinato a quello dei genitori (ad es., non “Pippo e Gina si sposano”, ma “Pippo secondo figlio di Ugo Rossi e Pina Verdi e Gina prima figlia di Adolfo Marzi e Sandra Moli si sposano”); quindi data e luogo (ovviamente); infine, non possono assolutamente mancare, ed anzi sono l’elemento che occupa la parte più ampia dell’invito, una mappetta fortemente stilizzata che spiega come arrivare al luogo del matrimonio e le informazioni per arrivarvi con i mezzi pubblici.

Alcuni inviti, diretamente dalla mia collezione personale

 

Già, il luogo del matrimonio! Se in Europa ci si sposa tendenzialmente in chiesa o in comune, le abitudini coreane sono ben diverse: praticamente qualsivoglia spazio in cui riescono ad entrare almeno un centinaio di persone può essere utilizzato per la cerimonia (celebre il caso dei due vietnamiti sposatisi nella saletta riunioni del vecchio dormitorio, demolita solo un paio di mesi dopo), ma le due location più gettonate sono i saloni degli alberghi di lusso e le wedding hall, esercizi commerciali appositi dotati di officianti, varie sale per matrimoni (perché se ne tengono diversi in contemporanea), sala per il rinfresco e tutto ciò che serve. Saloni e wedding hall sono strutturati fondamentalmente nella medesima maniera: tre ingressi, due laterali e uno centrale, un passaggio (di solito rialzato, illuminato e con decorazioni floreali) che dall’ingresso centrale porta al palco con un piccolo altarino, sedie per gli ospiti (poche, così la maggior parte degli invitati deve stare in piedi) e uno o più grandi teli per proiezioni.

Vista l’impressionante quantità di matrimoni organizzati nei week-end (sabato e domenica) se non si prenota la sala con almeno un paio di mesi di anticipo c’è il rischio di doversi sposare ad orari disgraziati, tipo il sabato alle sette di sera, ed è così che mi son bruciato tutto il weekend, mannaggia a te, mia cara amica YJH, e ancora auguri!

 

Per quanto riguarda i preparativi è tutto (più o meno): nella prossima puntata descriverò dettagliatamente (?) la cerimonia, il rinfresco e tante altre cose belle! Non perdetela!

E abbasso le lezioni alle otto del mattino, sempre!


[1] Del computo dell’età in Corea scriverò, forse, in un’altra occasione.

Delizie coreane: jŏn 煎

Posted in Asia Orientale, corea, Pubblica utilità with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , on 12 dicembre 2011 by patatromb

Se la scorsa volta vi ho raccontato diffusamente della pizza coreana, una gustosa specialità già entrata nella leggenda, questa volta vi presenterò quello che, parlando con gli stranieri, i coreani amano chiamare “the korean pizza”!; e, che ci crediate o meno, è una delle cose più buone che si possa mangiare in queste terre!

Come i lettori più acuti avranno già intuito leggendo il titolo di questo intervento, il piatto in questione si chiama “jŏn” (o “jeon” 煎 a seconda della trascrizione che preferite) e per la gioia dei lettori più curiosi ora spiegherò in poche parole di cosa si tratta.

In sostanza le dolci signore imbronciate che lavorano nel ristorante dove avete deciso di recarvi per cena per prima cosa preparano una pastella a base di acqua, uova, farina e sale q.b., piuttosto liquida anziché no.

Successivamente le stesse, simpaticissime signore di cui sopra pigliano una caterva di ingredienti a loro piacimento e, usando una piastra unta e ben calda, la friggono (“piastrano” parlando di cibo suona male[1]) assieme alla pastella, andando a creare dei dischi piatti e dalle dimensioni più disparate. Quando la pastella non è più cruda il tutto è pronto e dunque si può e si deve mangiare (all’occorrenza è possibile intingere i bocconi in salsa di soia per esaltarne ulteriormente il sapore, già di suo delizioso).

Le signore del ristorante al lavoro

Sono certo che i lettori più golosi avranno già l’acquolina alla bocca e si staranno chiedendo quali siano gli ingredienti supplementari con cui si può preparare i jŏn! Beh, come ho detto, si tratta delle cose più disparate: il più comune degli jŏn è il pajŏn, i.e. jŏn al cipollotto (porro?) e a questo, se le signore del ristorante vogliono, ci aggiungono seppie, vongole e altri frutti di mare assortiti trasformandolo in haemul pajŏn, dove haemul in coreano sta per frutti di mare!

La bellissima K ci mostra un haemul pajŏn esageratamente spesso

Altre varianti (potete ammirarne una ricca selezione nelle foto allegate) possono includere esibizioni soliste di ostriche e gamberetti, il buon tofu (cor. dubu 두부) che da solo non sa di niente, funghi tagliati a fettine sottili sottili, rondelle di zucchine, melanzane e altre verdure dall’adeguata consistenza, kimchi di cavolo cinese e chi più ne ha più ne metta.

Una portata di jŏn misti, una portata di felicità

Gli ultimi mini jŏn alle ostriche avanzati, i soli che ho fatto in tempo a fotografare

Dopo esservi nutriti a sazietà sarete felici di aver deciso di mangiare jŏn per cena, ma anche a fine pasto un dubbio continuerà ad attanagliarvi: perché diavolo i coreani dicono che è una “pizza”? Eppure la spiegazione è sotto gli occhi di tutti. Sono rotondi, sono fatti con la farina, hanno gli ingredienti e sono cucinati su una piastra oliata. È o non è la perfetta descrizione della miglior pizza della tradizione napoletana?

Il paradiso del fritto (relativamente) sano!


[1] Stando alla versione online del Vocabolario Treccani, piastrare significa, “In microbiologia e biologia cellulare, depositare in piastre, o capsule, di Petri, contenenti terreno di coltura, microrganismi o cellule al fine di poterne osservare, dopo un periodo di incubazione, il numero e la morfologia nelle colonie che si sviluppano.” Benché anche questo poco si adatti al mondo del mangiar bene, il significato che il sottoscritto aveva  in mente è in realtà un altro, tipico del linguaggio di noi teenager del Friûl e purtroppo non riportato in alcun dizionario di mia conoscenza.

Intervallo – Un giro a Myŏngdong

Posted in corea, Delizie coreane, Pubblica utilità with tags , , , , , , , , , , on 1 dicembre 2011 by patatromb

Oggi sono stato a Myŏngdong: ho fatto un po’ di shopping causa emergenza buchi su tutte le mie braghe,  ho ricevuto un regalo dall’uomo più superbellissimo dell’universo e ho mangiato a volontà in un ristorante tradizionale dove non andrei a fare il lavapiatti per tutto l’oro del mondo.

I piattini e un gesto simpaticissimo

Un piccolo regalo e tanti bellissimi ricordi donatimi dall'uomo più bellissimo

Poi sono passato davanti al ristorante italiano più invitante del mondo ma purtroppo ero già sazio, così mi sono accontentato di farmi venire l’acquolina rimirando il menù esposto all’esterno del locale.

Pane spremo, erba lanza, burro chione: tutti i miei piatti preferiti in un solo ristorante!

Bontà: la pizza coreana

Posted in Asia Orientale, corea, Delizie coreane with tags , , , , , , , , , , , , , , , on 11 novembre 2011 by patatromb

Finalmente ritorna a grande (?) richiesta la rubrica “Delizie coreane” e lo fa con un intervento dedicato al mio fedele lettore Michele lo Schiavo delle Assicurazioni che, sono certo, apprezzerà particolarmente il tema che vado a introdurvi!

 

Ma andiamo al sodo. Cosa si fa qua alla Seoul National University quando, consultando il menù online della mensa del dormitorio si scopre che, per il terzo giorno di fila, le simpatiche cuoche dal volto costantemente corrucciato hanno deciso di non preparare nulla di commestibile per cena? È presto detto: si prende il cellulare e si ordina la pizza coreana!

Una parentesi è d’obbligo: in Corea è particolarmente sviluppato il concetto di cibo con consegna a domicilio, e le abitazioni sono di conseguenza invase dai volantini-menù degli innumerevoli ristoranti specializzati nel campo. Per farvi un esempio, se avete presente la scena iniziale di Ferro 3, il protagonista sta proprio distribuendo alcuni di questi volantini. Sebbene sia possibile ordinare telefonicamente praticamente qualsiasi tipo di cibo, la parte del leone nel campo la fanno il pollo fritto, i chajangmyŏn (detti anche spaghetti color paura) e gli altri piatti della cucina pseudo-cinese e per finire, appunto, la pizza coreana.

 

Esempio di stuzzicante pizza coreana

Pizza che, va subito detto, non è né il fragrante, sottile disco di pasta di pane croccante guarnito con gli ingredienti della tradizione mediterranea che si consuma comunemente nella penisola italiana, né l’agghiacciante agglomerato di grassi saturi del quale, secondo gli americani, la pizza italiana non sarebbe che un tardo derivato.

No, la pizza coreana è un impareggiabile disco di pasta male o per niente lievitata, coperta da ingredienti più o meno casuali ma, in ogni caso, di difficilissima digestione. Ci sono decine di pizzerie a domicilio e orientarsi nella giungla dei volantini può inizialmente essere difficoltoso. Io personalmente tendo per lo più a servirmi o da Elnopim Pizza, negozio dal nome esotico che vanta un numero non ben definito di filiali a Seoul e in Cina, o dal simpatico Duros, specializzato nel mandare ai suoi clienti sms pubblicitari non richiesti.

Il menù di quest’ultimo, che ho scansionato solo per voi, ha l’indubbio pregio di illustrare non solo la grande varietà di pizze disponibili sul mercato coreano ma anche, come vedremo, i segreti che rendono la pizza di questo paese così speciale e, credetemi, indimenticabile. Innanzitutto, una carrellata dei gusti migliori!

Verso

Nel verso del menu, che trovate riprodotto qui sopra, distinguiamo tre diverse categorie di prezzo; innanzitutto, in basso, le “Main” sono le pizze più vendute perché più economiche (i loro ingredienti sono infatti piuttosto semplici). Menzione speciale in questa categoria va alla Combination e alla Super Deluxe, completamente identiche tranne che per il nome (e dopo tre anni e mezzo ancora non ho capito gli ingredienti) e la Hawaiian (formaggio, pomodoro e ananas).

La categoria di prezzo successiva, “Special”, include una ineguagliabile serie di pizze-capolavoro, incluse alcune di quelle più amate dai coreani. Possiamo farci conquistare dalla sempre classica pizza alle castagne; da quella, stuzzicante, al pollo piccante; dalla conturbante Doppia-patata su cui non può mancare maionese in abbondanza; oppure dalla meno conosciuta ma altrettanto saporita pizza alla zucca dolce; e, soprattutto, da quella che in Corea è considerata la pizza per antonomasia, ossia la “Patata Dolce”, che per la sua farcitura di mousse patadolciastra e tocchi di pastosissima patata americana, è nota presso la comunità straniera locale anche come “L’Orrore! L’Orrore!”.

Tra le Special scorgiamo inoltre la Cheese Crust, che ci permette di introdurre una delle più ragguardevoli peculiarità della pizza coreana, vale a dire la “creazione della crosta”. Se in Italia essa è stupidamente ottenuta attraverso la lievitazione della pasta nel corso della cottura, risultando così croccante e leggera, lo stesso non vale per la Corea: qua i mastri pizzaioli adottano le più raffinate tecniche culinarie per ottenere delle croste sempre collose, massicce e indigeribili. Tali tecniche sono, in ordine sparso, le seguenti:

a) “la compressione del centro”: si crea un disco di pasta dello spessore di un centimetro, poi si pressa la parte centrale in cui deporre gli ingredienti, lasciando meno compresso il disco esterno che, cotto senza ingredienti, assumerà i connotati di una crosta;

b) “il risvolto”: una tecnica molto semplice che consiste nel ripiegare il bordo esterno del disco di pasta cruda verso l’interno, in modo da creare un piccolo strato alto il doppio più alto che, una volta cotta la pizza, farà le veci della crosta. La preparazione della succitata Cheese Crust rappresenta una pregevole variante di questa tecnica, ‘ché nel risvolto viene inserita della pasta di formaggio oleosa che, come immaginerete, contribuisce significativamente alla maggiore digeribilità del prodotto;

c) “la giustapposizione”: la crosta non è ottenuta da una parte del “disco principale”, ma è formata da pezzi di altra natura, disposti a corona attorno alla pasta centrale.

Preclaro esempio di questa raffinata tecnica lo troviamo nella Cheese Bite, che ci porta dritti a presentare le più prestigiose pizze di Duros, le “Big 5 Premium”. Ognuna di esse rappresenta un gradino verso l’eccellenza nell’arte del fare la pizza. La già citata Cheese Bite ci delizia con i suoi involtini di formaggio alla patata dolce disposti artisticamente a creare la crosta; la Chicken Tender Cheese Cap ci emoziona con la combinazione di patate, maionese e bocconcini di pollo; e la Lobster Gold ci dà il colpo di grazia con lo straordinario accostamento di cheddar, granchio e mousse di patata dolce.

 

Recto

Questo per quanto riguarda il verso del menù, mentre il recto ci introduce alla novità dell’anno, la Snowing Gold Pizza: due dischi sovrapposti di pasta con crosta risvoltata ripiena (notate il dettaglio sulla sinistra), ricoperti da una ricca spolverata di formaggio grattugiato, al cui interno possiamo far inserire un ripieno a scelta tra pollo piccante, patata dolce, gamberetti e il popolarissimo gusto barbecue. C’è da leccarsi i baffi!

Prima di concludere questo intervento, torniamo al verso: come ho anticipato in precedenza, in esso sono elencati i segreti per la bontà della pizza coreana. Nella striscia in alto li vediamo illustrati per mezzo di quattro belle fotografie. Innanzitutto, scopriamo che prima di preparare la nostra pizza, la pasta cruda va tenuta 72 ore in frigorifero, per renderla più “gommosa/collosa” (쫄깃); da Duros, inoltre, possono a ragione vantarsi di utilizzare esclusivamente formaggio naturale fatto con vero latte, precisazione, converrete, essenziale. La terza immagine, che ci permette di ammirare la creazione di una crosta per mezzo della “compressione del centro” ci introduce al concetto di Slow Food, che stando alla didascalia consiste nell’iniziare a preparare la pizza solo dopo che il cliente l’ha ordinata. Infine, il segreto più importante: per avere una pizza sempre deliziosa e priva di grassi, ricordate che è necessaria una cottura esclusivamente alla griglia!

Non so voi, ma io ho già l’acquolina in bocca.

 

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p.s.: la prossima settimana sarò in Giappone, quindi per qualche giorno non potrò garantire aggiornati frequenti del blog. Voi, in ogni caso, continuate a seguirmi con fiducia e fedeltà!